La leadership non è questione di buona volontà.

Empowerment System è una novità assoluta per quanto attiene la formazione all’esercizio della leadership nelle organizzazioni.

Nel realizzare questo innovativo sistema, sono partito dalle seguenti considerazioni:

• La leadership della sola “gerarchia aziendale” non è più sufficiente: occorre coinvolgere sul piano della leadership una porzione più ampia della popolazione aziendale.

• La qualità del team working influisce pesantemente sui risultati aziendali: le organizzazioni assomigliano sempre più a “federazioni di team”.

• I responsabili dei diversi team, i team leader, costituiscono il sistema nervoso delle organizzazioni: la team leadership è divenuta una competenza cruciale.

• I team leader dispongono di adeguati strumenti solo sul piano del team management: l’esercizio della team leadership è lasciato alla buona volontà del singolo team leader.

Un’efficace formazione all’esercizio della team leadership fa dunque la differenza, ma i sistemi formativi tradizionali appaiono inadeguati e inefficaci. Per questo, con un team di esperti, ho realizzato Empowerment System.

Di cosa si tratta?

Empowerment System è un metodo interamente digitale per formare all’esercizio della team leadership nelle organizzazioni.

Empowerment System integra tre modalità:

• Ogni team leader coinvolto nel programma formativo aziendale, segue in piena autonomia un corso online in e-learning composto da sei moduli più test finale.

• Tra un modulo e l’altro, il gruppo dei team leader coinvolti partecipa a una sessione di group coaching online, volta a aiutare ciascuno a contestualizzare sul proprio team quanto ha appreso nel modulo in e-learning.

• Dopo aver superato il test, ogni team leader è guidato da un’apposita webApp, nell’applicazione di quanto ha appreso.

Per saperne di più, visita il portale www.empowermentsystem.com

Burn out, che fare?

Nella gran parte delle organizzazioni in cui il cosiddetto smart working è diventato un nuovo standard, si osservano fenomeni di stress piuttosto accentuati. Naturalmente questo disagio non riguarda tutti gli smart worker, ma è diffuso e riguarda comunque una parte significativa e degna di una risposta. Secondo Bloomberg, la giornata lavorativa dura da una a tre ore in più, si fanno più riunioni e si inviano più e-mail, almeno 8 al giorno fuori dall’orario di lavoro.

I segnali di stress sono meno visibili, così spesso i team leader non li colgono e i loro team member rischiano il cosiddetto burn out, uno stato di prostrazione che impatta molto negativamente sui risultati. Secondo una ricerca di Monster.com soffrirebbero di burn out due lavoratori su tre, ovvero il 20 per cento in più rispetto ai mesi che hanno preceduto il lockdown.
Come rispondere a questo stato di cose?

Le risposte che le organizzazioni mettono in campo, almeno tra quelle che ho osservato, sono molto diverse e sono classificabili in tre diversi approcci:

  • normativo
  • psicologico
  • relazionale

L’approccio normativo consiste nell’elaborazione di nuove regole di comportamento: rispetto degli orari, attenzione nel non sovraccaricare, distinzione più rigida del tempo lavorativo e del tempo “personale”.
L’approccio psicologico consiste nel sostegno agli smart worker più in difficoltà, tramite attività di coaching, counseling e laboratori emozionali di gruppo. L’approccio relazionale, di gran lunga il più impegnativo, consiste nel generare un nuovo tipo di relazione tra i team leader e i team member, facendo così sedimentare un modello di leadership volto a generare autonomia da parte del team member, un modello meno incentrato sugli obiettivi e più sulle sfide di crescita, meno incentrato sull’individuazione dei gap e più sull’esplorazione dei fattori di successo, meno incentrato sulla valutazione periodica e più sull’accompagnamento continuo, meno incentrato sulla rigida divisione tra leadership e execution e più volto a diffondere la leadership.

Con ogni probabilità, va previsto un approccio misto, che integri nuovi elementi normativi e sostegno psicologico, ma non rinunci alla sfida più impegnativa, ma anche più coerente con i nuovi paradigmi che l’epoca 4.0 chiede di adottare, quei nuovi paradigmi che l’emergenza sanitaria ha messo in maggior evidenza, ma che avevano bussato alla porta da quel dì.

Da questo punto di vista, la formazione dei team leader a un esercizio coerente della team leadership, rappresenta un investimento cruciale, senza il quale gli sforzi volti alla definizione di nuove regole e a sostenere gli smart worker in difficoltà, rischiano di essere vanificati.

I nuovi modelli di leadership e il superamento degli assessment

L’emergenza Covid19 ha determinato la necessità di ampliare il lavoro in remoto. Non si tratta di un provvisorio adeguamento tecnologico, si tratta di un nuovo modo di concepire il lavoro. Si tratta in effetti di un processo storico già ampiamente in atto che l’emergenza Covid ha messo in evidenza e accelerato. Non si tratta di un adeguamento temporaneo: chi, terminata l’emergenza, tornerà indietro, resterà indietro. La sperimentazione delle nuove formule organizzative rappresenta dunque il viatico per un’emancipazione più ampia da parte delle organizzazioni che certamente impatta potentemente sui modelli di leadership.

Come si colloca l’attività di assessment nell’ambito dei nuovi modelli organizzativi e di leadership?

L’attività di assessment presuppone l’esistenza di un modello predefinito. L’assessment consiste in fondo nella misurazione della distanza tra la “realtà” e il modello predefinito. I diversi ruoli aziendali presuppongono differenti set-skill. Tali set-skill vengono appunto modellizzati al fine di poter procedere alla valutazione di non conformità tra quanto richiesto e quanto espresso. L’output dell’attività di assessment prevede normalmente l’evidenza degli elementi conformi al modello e soprattutto di quelli non conformi, in modo tale da poter pianificare attività volte a “colmare i gap”.

Questo paradigma è davvero tuttora valido? C’è davvero bisogno di modelli?

L’epoca 4.0 richiede di andare oltre l’allineamento agli standard, chiede che ogni individuo acceda davvero al meglio di sé, ai propri più autentici fattori di successo, al fine di perseguire prestazioni eccellenti, quindi “oltre lo standard”.

Questo approccio suggerisce di fare un passo indietro rispetto all’omologazione dei comportamenti e un passo avanti rispetto all’accettazione di diversi stili individuali.

Da questo punto di vista, l’approccio “prevedo quali skill occorrono per ricoprire un certo ruolo e valuto se li possiedi” deve essere sostituito dall’approccio “esploro i tuoi fattori di successo e valuto come possono essere finalizzati alla missione del ruolo”.

Questo nuovo approccio presuppone l’adozione di un nuovo set valoriale, sintetizzabile nei seguenti quattro principi:

  • Le persone crescono, ma non cambiano
  • Tutti gli individui sono molteplici e contraddittori
  • Le persone crescono più potentemente investendo sul potenziamento dei propri fattori di successo che non sul miglioramento delle proprie carenze
  • I più preziosi fattori di successo di un individuo, spesso risiedono nelle sue “ombre”

Per fattori di successo si intendono quei fattori che favoriscono il raggiungimento di uno specifico risultato che va al di là delle aspettative, quindi meritevole di indagine. 

Non esiste un ragionevole repertorio di fattori di successo, essi possono essere formulati in infiniti modi e possono differenziarsi per infinite sfumature. Ciò determina l’impossibilità di definire un modello di riferimento e la conseguente inadeguatezza dello strumento dell’assessment.

In sostanza, l’attività di assessment va sostituita con l’attività di esplorazione.

Certo, una volta esplorati e identificati i fattori di successo, essi vanno potenziati e finalizzati. Ciò impatta anche sulla pratica di performance management.

Il performance management non può più essere ancorato agli obiettivi non raggiunti e ai conseguenti gap da colmare, il performance management deve diventare un accompagnamento finalizzato alla progressiva identificazione dei fattori di successo, al loro potenziamento e alla loro finalizzazione.

Per fare ciò, occorre applicare lo schema FATTORI-RISULTATO: partire da un risultato meritevole e esplorare, procedendo a ritroso, i fattori (comportamenti) che lo hanno favorito. Uno specifico risultato meritevole può essere identificato anche nell’ambito di una prestazione complessivamente scadente. Per questa ragione, l’esplorazione del talento presuppone l’adozione da parte del “capo”, dell’atteggiamento del cercatore d’oro: individuare la pepita tra le pietre grigie.

Il vecchio paradigma “individuo gli obiettivi non raggiunti, definisco le aree di miglioramento, elaboro un piano per colmare i gap”, deve essere sostituito dal nuovo paradigma “scovo un risultato meritevole, identifico i fattori di successo che lo hanno favorito, ti sostengo nel loro potenziamento”.

Identificazione delle aree di miglioramento e identificazione dei fattori di successo non sono aspetti diversi di una attività unitaria, corrispondono invece ad attività molto differenti dal punto di vista relazionale. Ciò perché l’identificazione delle aree di miglioramento e il conseguente piano volto a “colmare i gap”, corrisponde a una richiesta di cambiamento; mentre l’identificazione dei fattori di successo e il conseguente piano volto al loro potenziamento, corrisponde a una richiesta di affermazione di sé. L’identità degli individui si dipana infatti nei talenti e non nei limiti. 

Come affermare questo approccio nelle organizzazioni? Diffondendo un esercizio della leadership coerente con i nuovi paradigmi. Chi possono essere i protagonisti di tale diffusione? Tutti coloro che gestiscono un team di persone, i team leader. Essi, indipendentemente dai diversi livelli gerarchici che ricoprono, possono rappresentare i più potenti agenti dell’emancipazione delle organizzazioni. In questo senso, la team leadership è divenuta una competenza cruciale.

Per questa ragione le organizzazioni sono oggi chiamate a distinguere il piano della team leadership e quello del team management e a riconsiderare l’esercizio della team leadership come applicazione di un processo di attività volte a:

  • definire e condividere un coinvolgente progetto di team
  • definire l’atteggiamento funzionale alla realizzazione del progetto di team
  • allineare i team member rispetto alla sfida contenuta nel progetto e all’atteggiamento richiesto
  • definire la sfida di crescita di ciascun team member
  • identificare i fattori di successo di ciascun team member
  • accompagnare ogni team member nella finalizzazione dei suoi fattori di successo al progetto di team
  • identificare i fattori di eccellenza del team
  • sostenere il team nel potenziamento dei fattori di eccellenza

Lo smart working e la sindrome della scopetta

Molte organizzazioni sono afflitte dalla “sindrome della scopetta”. Di cosa si tratta? Ve lo spiego subito.

Quando mia figlia, oggi trentenne, aveva si e no cinque anni, ricevette in regalo una bellissima scopetta giocattolo. Non di plastica eh, il manico era di legno e la spazzola in saggina. Insomma era la riproduzione, in miniatura, delle scope di altri tempi, quelle delle nonne.

Mia figlia se ne innamorò e passo le giornate successive a giocare con quell’affascinante oggetto. Girava per casa simulando uno stato di agitazione, agitando la scopetta per terra, spostando polvere e pronunciando, ripetendole, sempre le stesse parole: ho troppe cose da fare, ho troppe cose da fare, ho troppe cose da fare…

Mi pare un’impeccabile metafora di un certo atteggiamento che si respira anche nelle organizzazioni: dimostrare di essere impegnatissimi. Lo si vuole dimostrare tanto a se stessi, quanto agli altri e segnatamente al capo. Anche nelle organizzazioni si spendono tante energie a spostare polvere a scopo dimostrativo, anche nelle organizzazioni il mantra del super-impegno va per la maggiore.

Nel tempo dello smart working il refrain non è così cambiato: si lavora di più a casa che in ufficio! Non si ha un momento di tregua! Non si stacca mai! Non c’è neppure la pausa caffè con i colleghi! Insomma, non si può più dimostrare il proprio super-impegno girando per i corridoi con la propria scopetta tra le mani,  e allora ci si limita a raccontare quanto la si usi a casa.

Eppure, tra i tanti benefici effetti che può determinare il tempo dello smart working, c’è anche questo, il superamento della sindrome della scopetta. Non è facile, occorre innanzitutto spostare il focus da tempo-spazio-obiettivi a scopi. Occorre inoltre superare l’idea che il bilanciamento tra vita professionale ed extra-professionale si ottenga separando, nel tempo dello smart working si ottiene, al contrario, integrando.

Bisogna lavorarci.

Un libro per Natale

Si avvicina il Natale e mai come quest’anno, il regalo migliore è un libro ispirazionale.

Per questa ragione ho deciso di proporre una formula originale: libri personalizzati e autografati. Un originale regalo che puoi destinare ai tuoi colleghi, ai tuoi collaboratori, ai tuoi partner, ai tuoi clienti.

I libri che propongo a questo scopo, sono gli ultimi che ho pubblicato con Shamba Edizioni, la mia etichetta editoriale:

YOUR WAY

Prezzo: € 7

Pagine: 79

Con questo libro, Alessandro Chelo ci propone quindici parole che possono guidarci alla ricerca della nostra via. Una guida all’esplorazione della propria molteplicità e dei propri talenti. Un’esortazione a crescere senza cambiare, ma anzi allineandosi con la propria autentica essenza, per mettersi in cammino omaggiando la propria “leggenda personale”.

CREDEVO D’AVER PIANTATO UN BAOBAB

Prezzo: € 8

Pagine: 118

Il continente africano fa da sfondo a un viaggio onirico alla ricerca di una vita autentica. Il racconto, attraverso l’intreccio delle vicende umane di un intellettuale francese, di un giovane alla ricerca della propria identità e di una famiglia africana, mette in luce antichi valori come l’autenticità, la semplicità, la profondità. Sogno e realtà si confondono in una storia dal contenuto formativo.

JEREMY E LA FARFALLA CHE VOLAVA IN INVERNO

Prezzo: € 9

Pagine: 202

  • La vita regala a ognuno di noi incontri rivelatori, incontri che ci fanno apprendere qualcosa di davvero nuovo, che ci fanno scoprire parti sopite di noi, che segnano il nostro percorso e forse il nostro destino. Essi promuovono in modo particolarmente potente la nostra crescita. Con quest’opera, l’autore ci racconta del suo incontro con Geremy Olek e di quanto sia stata preziosa l’esperienza che Geremy ha condiviso con lui. Dal racconto si dipana una nuova concezione di crescita personale, incentrata sulla capacità di cogliere la bellezza della transizione continua che la vita inevitabilmente propone.

Il servizio di personalizzazione autografa è gratuito, quindi incluso nei prezzi indicati, che sono peraltro scontati rispetto ai prezzi di copertina.

Il costo della spedizione fa riferimento alla seguente tabella:

  • fino a 15 copie: € 10,90
  • fino a 30 copie: € 12,90
  • fino a 75 copie: € 15,50

Se è richiesta la fatturazione, è necessario fornire i riferimenti per la fatturazione elettronica, compreso il codice univoco, oltre a codice fiscale e partita iva. IVA esente art. 74.

Il pagamento va effettuato all’atto della conferma dell’ordine con bonifico intestato Alessandro Chelo, Iban: IT22X0538701402000035361965

La consegna sarà effettuata a partire dal 15 novembre.

Vuoi saperne di più sui libri proposti? Guarda il video.

Normality, old normality, new normality

Si dice che i nuovi comportamenti organizzativi determinati dall’emergenza Covid19, segneranno il passaggio verso nuovi modelli organizzativi e manageriali. 

Qualcuno guarda con soddisfazione a questo passaggio e ne intravede contenuti fortemente innovativi. Altri invece soffrono questo cambiamento, non ne colgono il contenuto evolutivo e desiderano, con il definitivo superamento dell’emergenza, il ritorno alla vecchia normalità. 

In realtà il cambiamento apparentemente determinato dall’emergenza Covid era già ampiamente in atto da quel dì: il virus lo ha solo accelerato e messo in maggiore evidenza.

I vecchi modelli col capo che alita sul collo e controlla e i collaboratori che si prendono una pausa alla machina del caffè, sono in crisi da tempo. Da decenni si parla di leadership diffusa o, più fantasiosamente, di piramide rovesciata. Se ne parlava, ma non si erano determinate le condizioni per rendere urgente la pratica di questi nuovi modelli. C’ha pensato il virus. In questo senso è del tutto legittimo parlare di “nuova normalità, si perché, passata l’emergenza, non si tornerà alla vecchia normalità, non tutti quantomeno e non completamente. Si consolideranno invece i nuovi modelli che fanno del nuovo tempo la nuova normalità.

In particolare il cosiddetto smart working chiamerà a un nuovo atteggiamento. Non ci potrà più essere una separazione netta tra vita professionale e vita personale, come se  la vita professionale non fosse anch’essa personale. Spetterà a ognuno di noi far convivere le proprie vite (professionale, sociale, sentimentale, famigliare, culturale, hobbistica) e ciò non potrà più essere demandato alle sole regole. La risposta non sarà più nella rigidità della separazione, ma nell’intelligenza dell’integrazione.

Anche per questa ragione, la competenza che sempre più farà la differenza sarà la leadership personale, competenza per diffondere e potenziare la quale le organizzazioni saranno chiamate a un poderoso impegno.

Quali strumenti per diffondere e potenziare la leadership personale nelle organizzazioni? Il coaching appare lo strumento più idoneo. Esso però, per assolvere a questo compito, deve essere reinterpretato: esso non sarà più volto a facilitare il raggiungimento di un obiettivo specifico, ma anche e soprattutto a potenziare i fattori di successo personali.

E’ con questo spirito e questo obiettivo che propongo il Percorso Itaca come strumento di diffusione e potenziamento della leadership personale nelle organizzazioni.

Stress da iperconnessione? La risposta è nella leadership.

L’emergenza Covid ha costretto le imprese a trovare nuove formule organizzative e le pongono di fronte a un dilemma: quando sarà terminata l’emergenza, si tornerà alle soluzioni passate o si consolideranno le nuove abitudini operative, comportamentali e organizzative che l’emergenza ha determinato? 

Il nuovo e inatteso scenario ha generato un’accelerazione nel passaggio “culturale” da un posto dove lavorare verso scopi da perseguire. Ha altresì consentito di sperimentare come si possano ottenere risultati importanti anche senza la presenza fisica del “capo” che ti orienta e sollecita.

Il tempo e lo spazio divengono così le categorie fondamentali del lavoro liquido, in quanto lavoro privato della fissità del solido, che cambia continuamente, Così, le mansioni/attività vengono modificate in continuazione.

In contesti organizzativi definiti “liquidi”, la prima reazione è lo spavento, l’ansia, lo smarrimento. Il tutto è dettato da una sensazione di ingestibilità, di mancanza previsionale, di poca padronanza di sé e del contesto circostante. Occorre dunque potenziare gli skill che permettono di dominare quella fluidità che, altrimenti, finirebbe per sommergerci.

Gli elementi produttori di stress e malessere sono da sempre riscontrabili molto più nei modelli di leadership che non nella natura del business che si porta avanti. L’emergenza Covid, il lavoro in remoto e la conseguente necessità di aderire la “lavoro liquido”, hanno messo ulteriormente in luce la criticità della competenza-leadership, nelle sue due fondamentali declinazioni: 

  • team leadership
  • eco leadership

L’esercizio di queste due declinazioni della leadership, rappresenta il più potente antidoto alla sensazione di malessere prodotta dall’insorgere delle nuove frontiere organizzative.

Team leadership. Per quanto se ne parli, per quanto si sprechino convegni sul tema, per quanto la parola squadra sia entrata nel linguaggio manageriale, in effetti si tende ancora a confondere i concetti di gruppo e squadra. Essi appartengono a piani molto diversi: nel gruppo prevale la dimensione della persona, nella squadra prevale dimensione della competenza. 

Gruppo: insieme di persone unite da un interesse in comune;

Squadra: integrazione di competenze finalizzate alla realizzazione di un progetto condiviso.

Troppo spesso le iniziative volte a potenziare il team building, hanno l’obiettivo dichiarato di potenziare la squadra, ma in effetti fanno leva sui fattori del gruppo: l’affinità elettiva, la qualità delle relazioni, l’entusiasmo.

In realtà, il benessere diffuso all’interno del gruppo, deriva in gran parte da altri fattori, quelli che riguardano la dimensione della “squadra”: sfida, atteggiamento, attitudini. Tali fattori rappresentano le leve di una efficace team leadership. 

Vediamoli ad uno ad uno:

  • La sfida. La Vision aziendale non é di per sé sufficiente a coinvolgere i team member di un’unità operativa, occorre fare ricorso alla “sfida di team”. La sfida di team disegna l’identità dell’unità operativa, genera senso di appartenenza e definisce gli orizzonti che il team ha di fronte a sé.
  • L’atteggiamento. Per poter realizzare la sfida di team, é necessario che i team member adottino un atteggiamento funzionale e coerente. L’atteggiamento richiesto non consiste in un generico richiamo valoriale, ma all’osservazione di poche e inequivocabili “regole di ingaggio” che vanno espresse attraverso la richiesta di specifici “comportamenti osservabili”.
  • Le attitudini. Il successo della sfida di team é favorito dal fatto che ogni team member finalizzi i propri “talenti”. Tali talenti individuali vanno dunque identificati, “battezzati” e potenziati nel tempo.

Il team leader é dunque chiamato a definire e condividere un coinvolgente progetto di team, richiedere allineamento con l’atteggiamento richiesto mettendo in campo, se del caso, la propria autorità di ruolo, identificare i fattori di successo di ciascun team member e sostenerli nella loro finalizzazione e nel loro potenziamento.

Ecoleadership. Le aziende organizzate secondo le logiche tradizionali, fanno oggi i conti con una criticità:  la “gerarchia aziendale” non sembra più in grado di gestire efficacemente un così alto tasso di innovazione e cambiamento continuo. La realtà, sempre più complessa e liquida, richiede l’esercizio della leadership da parte di una più ampia porzione di popolazione aziendale. 

Chiunque svolga un’attività che comporti l’interazione con altre persone (quindi in effetti proprio chiunque) è oggi potenzialmente chiamato a esercitare leadership. La scelta di esprimere leadership anche quando ciò non derivi dalla propria responsabilità di ruolo, impatta considerevolmente sulle prestazioni dei team.

Il compito del team leader è infatti fortemente agevolato quando si crea una speciale alleanza con i suoi team member più ingaggiati, gli ecoleader. Si tratta di quel rapporto che, nella metafora sportiva, riguarda la collaborazione fra il “mister” e il cosiddetto “allenatore in campo”, quel giocatore che, indipendentemente da ruoli e etichette, sceglie di spendersi personalmente affinché la squadra si allinei rispetto all’atteggiamento che l’allenatore chiede di adottare.

Ma è davvero possibile? La leadership non è forse una competenza tipica, anzi esclusiva, dei ruoli direttivi? La leadership non riguarda forse la motivazione e il coinvolgimento dei collaboratori? E chi non ha collaboratori, come può esprimere leadership?

Quando si pensa alla leadership, normalmente si pensa a una responsabilità derivante da un ruolo particolare. È giusto: chi è chiamato a guidare un’organizzazione o un team, non può esimersi dalla responsabilità di esprimere leadership. 

Eppure è oggi necessario fare ricorso a una nuova concezione di leadership che non sia determinata solo dal ruolo, ma da una libera scelta di tipo etico, la scelta di chi si spende personalmente per il miglioramento della qualità della vita di qualunque ecosistema egli abiti.

Naturalmente si tratta di una leadership a 360 gradi: non riguarda il rapporto con i propri collaboratori, riguarda il proprio rapporto col mondo. 

Per queste ragioni, gli ecoleader sono oggi figure cruciali per l’equilibrio e la longevità delle organizzazioni.

Questo tipo di espressione di leadership non è voluta, cercata, pianificata; non è esito di applicazione di questa o quella tecnica. L’ecoleadership è effetto di un atteggiamento verso il mondo, della scelta di influire, di concorrere, di lasciare un segno ed è così definibile: attitudine innata grazie alla quale una persona sceglie di spendersi personalmente al fine di emancipare gli ecosistemi che abita. 

Ecco i principi a cui si ispira l’ecoleadership:

  • Essere della partita, indipendentemente dal proprio livello gerarchico
  • Assumersi la responsabilità della qualità delle proprie relazioni
  • Considerare ogni “crisi” come una transizione e non come uno stato
  • Parlare solo di ciò che si sa e ascoltare molto ciò che non si sa
  • Non scaricare i problemi, anzi farsene carico
  • Costituire un esempio disinteressato di qualità
  • Ripudiare il lamento
  • Conoscere il potere dei piccoli gesti

Il paradosso è che spesso nelle organizzazioni, l’ecoleadership non solo non è potenziata, ma è talora osteggiata. Così gli ecoleader vivono con frustrazione la loro attitudine anziché metterla al servizio dell’organizzazione. Costoro vanno invece incoraggiati, specialmente attraverso attività formative volte al loro potenziamento personale.

Naturalmente la partecipazione a tali iniziative formative, va proposta su base volontaria, a diversi livelli gerarchici, senza designazioni dall’alto: la partecipazione per libera scelta, diventa in questo modo anche un semplice sistema per individuare gli ecoleader in pectore.

Un consapevole esercizio della team leadership e la promozione della ecoleadership, concorrono in modo decisivo alla riduzione del malessere e dello stress all’interno delle organizzazioni.

Il coaching in remoto: opportunità da raccogliere

Tre anni orsono, ho voluto proporre una formula di coaching innovativa: Your Way.

Si tratta di un format interamente online: tre sessioni. Un percorso breve che si è rivelato di grande efficacia.

Ho sperimentato questo approccio con diverse decine di manager e, oggi, in questa contingenza, assume una rilevanza tutta particolare.

L’opportunità digitale

L’emergenza virus ha costretto le organizzazioni a ripensare lo smart working e, in generale, l’approccio digitale.

Da tempo la formazione è in gran parte migrata sulle piattaforme digitali di e-learning. Alludo in particolare alla formazione cosiddetta “tecnica”.

Per quanto attiene la formazione relativa alle soft skill e la formazione esperienziale, la frontiera era considerata invalicabile. Ma la contingenza ha obbligato a nuove sperimentazioni.

Mi è stato chiesto di sperimentare il seminario Fish leadership, che normalmente conduco in Acquario di Genova, in versione digitale.

Ebbene, è stata un’esperienza entusiasmante.